martedì 13 marzo 2007

Diego CUGIA di Sant'Orsola. [Roma.1953.02,24.]

[...] Il mio primo articolo riguardava l’emblematica morte di Antonio Corte, uno straordinario giornalista corrispondente da Parigi de “Il Mondo”. Uomo che non faceva compromessi, non “teneva famiglia” e non si vendeva per una bistecca. Scoprii che lo stress di essere un giornalista libero, in un paese di leccascarpe, gli aveva scatenato un suicidio nel sangue. E che dei batteri del nostro organismo, di solito innocui, possono trasformarsi in kamikaze. Sono diventato giornalista professionista a ventitré anni, il giorno dopo l’editore de "Il Globo" mi ha licenziato perchè, nonostante avessi scritto più di trecento articoli, mi ero permesso di fare l’esame sottraendomi alla mia condizione di "negro". Nonostante le promesse, la redazione non ha fatto un’ora di sciopero per me, ma due giorni per un aumento di cinquemila lire. La settimana successiva sono stato ricoverato per una broncopolmonite fulminante di origine sconosciuta e, dopo un mese tra la vita e la morte, sono stato salvato da un nuovo antibiotico non ancora in commercio. I batteri erano della stessa famiglia di quelli che suicidarono Antonio Corte. Grazie a questa esperienza ho scritto il mio primo racconto, s’intitolava "La sfida". L’ho bruciato insieme a tutte le centinaia di poesie scritte dai 14 ai 24 anni. E non si sa perché. Dal 1974 al 1976 ho inviato racconti e poesie a tutti i giornali d’Italia. Nessuno mi ha mai pubblicato o risposto. Nel 1976 "La Fiera Letteraria" mi ha pubblicato due poesie. L’articolo di presentazione cominciava così: "Chi lo dice che in Italia non esistono più poeti? Noi ne abbiamo scoperto uno…" Lo ricordo come uno dei giorni più emozionanti della mia vita. Anche in questo caso, rammento un solo verso di quella poesia giovanile: “Oggi ha sempre lo stomaco pieno/ e la gente lo nota come avesse mangiato suo padre”. Letto il quale si capisce perché sono entrato in analisi.
Nel 1977 ho cominciato a lavorare per Radio Rai, per la quale sono sempre rimasto un collaboratore esterno. Poi un direttore che non nomino, dopo il successo del Mercante di Fiori e soprattutto di Alcatraz, mi ha scritto che “non si capisce perché devo lavorare per le sue radio”. Spero che prima o poi qualcuno lo cacci e la Rai torni ad essere un servizio pubblico, non un fatto personale. [...]

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